Indice
COSTRUZIONE DELLA CHIESA
Dal 1583 al 1602 vi lavorò Giacomo della Porta che riprese i lavori e nel 1592 completò la navata centrale.
Nel 1598 entrò in scena Carlo Maderno che eresse il transetto, il coro e la cupola che poggia su un tamburo ottagonale.
La facciata fu costruita nel 1732 da Alessandro Galilei che la completò in due anni, su richiesta di papa Clemente XII.
Interamente in travertino, presenta due ordini. Su quello inferiore spartito da otto semi colonne corinzie, si aprono tre ampi portali, di cui il centrale presenta, adagiate sul timpano triangolare, due statue allegoriche, poste ai lati dello stemma di papa Clemente XII: a sinistra la Carità, a destra la Fortezza, entrambe dello scultore Filippo della Valle.
Sull’attico della chiesa sono collocate alle due estremità, sei statue, tre per lato: da sinistra a destra Santa Maria Maddalena de’ Pazzi, San Filippo Benizi, San Piero Igneo, San Bernardo degli Uberti, il Beato Eugenio Diacono, Santa Caterina dei Ricci.
La cupola slanciata, opera di Carlo Maderno, sorretta da un alto tamburo
ottagonale in rustico toscano, che il Milizia definirà “secca e tendente al gotico” testimonia l’equilibrata e raffinata sensibilità di Carlo Maderno.
Il popolino la chiamava “il confetto succhiato”.
All’esterno, in parte cancellata dal tempo la scritta “Christus rex in pace venit deus homo factus est a fulgore tempestate libera nos Domine”.
Nel giro della lanterna, internamente è la dedica in latino “A Dio e a San Giovanni Battista i Fiorentini in Roma anno 1614”.
Sul fianco destro addossato alla Chiesa, un Campanile a vela con quattro campane; la più piccola che si trova ora nel Museo della Basilica, è una delle più antiche campane di Roma, come risulta dall’iscrizione fu fusa dal frate minore maestro Pietro nel 1253. Le altre tre acquistate nel 1585 provengono dall’Inghilterra al tempo delle leggi vessatorie della Regina Elisabetta I nei confronti dei Cattolici.
LA CHIESA
L’interno, intonacato di bianco, è a croce latina a tre navate con cinque cappelle per lato, con volta a botte, separate da grandi pilastri bianchi tra i quali si aprono ampie arcate.
E’ opera di Giacomo della Porta che nella costruzione dovette tener conto della fondamenta eseguite da Antonio da Sangallo il Giovane.
La chiesa può essere considerata un museo dell’arte toscana tra il Cinquecento e il Seicento.
Sopra la porta centrale nel 1673 fu posto il ricco organo dorato uno dei più fastosi del tempo.
L’imponente altare maggiore fu eretto a spese della famiglia Falconieri.
Iniziato da Pietro da Cortona nel 1634, fu terminato nel 1667 da Francesco Borromini la cui mano si vede nella scenografica edicola con tre colonne per lato che sostengono il frontone. Il Borromini, morto suicida nel 1667, è sepolto in un’unica tomba insieme con Carlo Maderno, suo parente e precettore, che si trova nella navata mediana, sotto la cupola; una lapide murata nel terzo pilastro di sinistra lo ricorda.
Sopra l’altare maggiore si trova il monumentale Battesimo di Cristo di Antonio Raggi (1686): su una lastra di bardiglio (marmo grigio scuro proveniente dalle Alpi Apuane), in bassorilievo, le Nuvole, i Putti e la Colomba dello Spirito Santo, sui quali, a tutto tondo, si sporge l’Eterno Padre.
Da dietro l’altare maggiore si scende nella cripta funeraria della famiglia Falconieri.
Sulla porta della sacrestia si trovava la statuetta di San Giovanni Battista erroneamente attribuita a Michelangelo giovane, ma sicuramente di Scuola fiorentina; ora si può vedere nell’annesso Museo dei Fiorentini.
Accanto alla porta il busto del medico Antonio Coppola, benefattore dell’Ospedale dei Fiorentini, eseguito nel 1612 da Pietro Bernini o da suo figlio Gian Lorenzo, e quello di un altro benefattore Antonio Cepparelli scolpito da Gian Lorenzo nel 1622.
Entrambi oggi, nel Museo dei Fiorentini.
Nel braccio destro del transetto si trova la Cappella dei SS. Cosma e Damiano: sull’altare è collocato un dipinto di Salvator Rosa del 1669.
Ai lati due importanti monumenti funebri: a destra quello di Monsignor Ottaviano Acciaioli e a sinistra quello di Monsignor Ottavio Corsini di Alessandro Algardi (1641).
La terza cappella sinistra è dedicata a San Francesco e venne assegnata alla Famiglia Scarlatti che fece affrescare le pareti con le storie di San Francesco dipinte dal Pomarancio tra il 1583 e il 1585.
Nella piccola cappella battesimale si trovano due piccoli tabernacoli del Quattrocento provenienti dalla vicina chiesa di Sant’Orsola della Pietà .
Nella Cappella di San Girolamo ( la 3^ nella navata sinistra) su una tavola del Passignano (1636) è dipinta la costruzione della Chiesa: sulla destra alcuni operai al lavoro e la testa di Michelangelo che illustra i lavori.
Nella navata destra, in fondo, Cappella della Madonna, l’unica decorata a cura dell’Arciconfraternita, ( sul pavimento il giglio di Firenze).
Sull’altare dentro un grazioso ornamento di rame dorato, in una nicchia intarsiata in marmo policromo, è l’immagine di Maria, madre di grazia e di misericordia, qui trasportata nel 1648 da un muro esterno in Vicolo delle Palle, dopo che un sacrilego giocatore di bocce l’aveva danneggiata colpendola nell’occhio destro.
Rimasto paralizzato al braccio destro con la preghiera e il pentimento riottenne l’uso del braccio.
La delicatezza dell’affresco fa pensare a Filippino Lippi.
LA STORIA
Fu Papa Giulio II a decidere, nel 1508, di demolire il piccolo oratorio di Sant’Orsola della Pietà sulla riva del Tevere, sede dell’Arciconfraternita della Pietà dei Nazionali fiorentini costituitasi nel 1448 per soccorrere i connazionali colpiti dalla peste, per costruirvi la CHIESA DI SAN GIOVANNI DEI FIORENTINI affidandone la realizzazione a Donato Bramante.
La morte del Pontefice bloccò il progetto che fu ripreso quando salì al soglio papale Leone X, Giovanni de’ Medici, che bandì un concorso cui parteciparono tutti gli architetti “di punta” presenti a Roma: Raffaello, Baldassarre Peruzzi, Jacopo Sansovino e Antonio da Sangallo il Giovane. Fu scelto Jacopo Sansovino che però abbandonò il cantiere in seguito ad una caduta dalle impalcature o per un ammanco nei finanziamenti papali, e gli subentrò Antonio da Sangallo il Giovane che continuò la costruzione.
La morte di Leone X e la mancanza di fondi bloccarono di nuovo i lavori.
La costruzione della Chiesa fu portata a termine un secolo dopo (1620); un secolo che vide il Sansovino, il Sangallo, Michelangelo, Giacomo della Porta e Carlo Maderno impegnati con maggiore o minore efficacia, in quest’opera.
Solo nel 1734, sotto un altro Papa fiorentino, Clemente VII, la Chiesa poté dirsi completata, con la costruzione della facciata su disegno di Alessandro Galilei.
Eretta a Parrocchia di tutti i Fiorentini in Roma fin dal 1519, con fonte battesimale, cimitero, privilegi e indulgenze ebbe come suo Rettore (Parroco) dal 1564 al 1575, il fiorentino San Filippo Neri di cui si conserva la Croce da lui venerata, nella 4^ Cappella della navata di destra.
Nel 1610 nelle casette situate sulla destra della Chiesa fu aperto l’Ospedale che rimase attivo fino al 1937 quando venne demolito per far posto a Via degli Acciaioli.
Nel 1906 la Chiesa cessò di essere parrocchia personale del Fiorentini per divenire parrocchia territoriale urbana.
Nel 1919 è stata elevata a dignità di Basilica.
Nel 1960 titolo Cardinalizio Presbiterale .
VIA GIULIA
Tutta la zona intorno all’attuale Via Giulia, in epoca romana era detta Campo Marzio meridionale.
Tra gli attuali Ponte Sisto e Ponte Vittorio Emanuele II si trovavano un porto militare con grandi arsenali per le navi –Navalia- costruiti intorno al 167 a.C.,
e il Tarentum , un luogo di culto antichissimo sacro a Dite e a Proserpina.
Sotto Augusto, nel 17 a.C. , vi si svolsero i Ludi Saeculares, che si svolgevano ogni 100 anni, che si conclusero con un coro formato da ventisette fanciulli e altrettanti fanciulle che intonarono il Carmen Saeculare composto per l’occasione dal poeta Orazio.
Durante il Medioevo la zona intorno al Tevere fu intensamente abitata per i molti vantaggi che il fiume offriva. Il Tevere rappresentò l’arteria principale della città che occupava un’area abbastanza piccola (intorno al 1000 Roma aveva 20.000 abitanti circa), oltre che via di comunicazione era anche via di approvvigionamento. Inoltre costituiva una notevole fonte di acqua.
Due traghetti fissi attraversavano il fiume, ricchissimo di pesce. Già nel X secolo i monasteri che sorsero lungo le rive del Tevere, affittavano o vendevano i diritti di pesca sulle rive su cui sorgevano innumerevoli peschiere, pontili, piccoli moli e zattere con reti e ceste per la pesca. Inoltre vi sorsero mulini, magazzini frumentarii e misere abitazioni di pescatori.
Un documento del 1072 parla di restauri alla Chiesa di San Biagio “ de cantu secutu”, con annesso monastero, che sorgeva in una zona semiabbandonata tra campi, vigne ed arenili.
La Chiesa di San Biagio che ancora sorge su Via Giulia, fu edificata sui resti di un antico Tempio dedicato al dio Nettuno ; nel 1424 fu intitolata a “San Biagio in cantu secutu, alias de la Pagnocta de Urbe” e fu affidata ai monaci Benedettini che vi officiarono fino alla fine del Quattrocento. La stradina che passava davanti alla Chiesa fu chiamata con nomi diversi: Via Mercatoria, a causa dei commerci che vi si svolgevano, Via Magistralis, perché alcuni notai vi avevano aperto i loro studi, Via Florida per gli orti e i giardini che vi fiorivano ai lati.
Roma fin quasi alla fine del Trecento fu un grosso borgo agricolo e contadino, ma il ritorno dei Papi dalla Cattività Avignonese (1305-1375) avviò una lenta modifica dell’aspetto di tutta la zona con l’insediamento di numerosi artigiani e commercianti che prevedevano vantaggi dal ritorno a Roma della Curia.
Fino a quel momento il nucleo più importante di Roma gravitava nella zona intorno al Campidoglio fino a Sant’Eustachio e all’ Esquilino
Nell’area ovest della città, verso il Vaticano c’erano i possedimenti della sola famiglia baronale degli Orsini, per il resto c’erano solo monasteri e abbazie.
Tra la fine del Trecento e i primi anni del Quattrocento la zona comincia ad essere “urbanizzata”.
Nel 1378 a causa dello Scisma d’Occidente, ci fu un quasi totale arresto delle attività artistiche.
Nel 1443 il Papa Eugenio IV, chiama a Roma i migliori artisti toscani: Filerete cui affida la costruzione della Porta Bronzea in San Pietro, poi il Ghiberti, Masaccio, Donatello, Leon Battista Alberti, Rossellino, Beato Angelico che danno il via alla grande epoca artistica romana.
Papa Nicolò V, che voleva trasformare la città in capitale della Cristianità, elaborò (1452) il progetto di costruzione di strade importanti: una fino a Castel Sant’Angelo, una fino al Campidoglio ed un’altra fino alla Maddalena, tutte partenti da Ponte. Questi assi viarii avevano lo scopo di legare la città antica “storica” alla nuova sede stabile della Curia Pontifica, il Vaticano.
Il progetto non venne realizzato; fu ripreso da Paolo II Barbo, che però elaborò un altro piano che privilegiava la zona intorno al suo Palazzo, in Piazza San Marco.
Fu Sisto IV, Francesco della Rovere (1471-1484), che riprese, venti anni dopo, il progetto di Nicolò V, soprattutto in vista del Giubileo del 1475.
Fece costruire Ponte Sisto e sistemò tutta la zona che da Monte Mario portava a Borgo e quindi in Vaticano.
La Via Florida-Mercatoria, diventò un punto chiave nel processo di urbanizzazione, poiché metteva in comunicazione una zona ad alto potenziale finanziario, quella di Ponte, dove si accentravano le più importanti sedi bancarie del tempo, con i Mercati di Campo dei Fiori e di Piazza Navona istituito nel 1477. I centri di traffico granario e dei generi alimentari di prima necessità erano gestiti in massima parte da genovesi e fiorentini, questi ultimi concentrati nel rione Ponte. Sulla Via Mercatoria si insediarono anche artigiani super specializzati come orafi, che avevano una clientela facoltosa fatta prevalentemente di famiglie di banchieri fiorentini e toscani che cominciarono ad aprire i loro “banchi” proprio qui.
La vera storia di Strada Giulia, cominciò nel 1508 con Papa Giulio II, Giuliano Della Rovere, che aveva come programma una Renovatio Urbis, per fare di Roma la Capitale di uno Stato-Chiesa a carattere assolutistico e per evidenziare in modo più esplicito la stretta connessione tra il potere temporale e il potere spirituale della Chiesa.
La vera Roma è la Roma dei Papi che può competere e superare con la sua magnificenza la Roma imperiale.
Prima di tutto egli mise in atto una riforma fiscale per allentare i rapporti con la nobiltà romana stringendo alleanze con i banchieri toscani e in particolare con Agostino Chigi che diventò l’amministratore e il finanziatore delle più importanti attività economiche e finanziarie dello Stato Pontificio gestendole con mentalità già nettamente capitalistica.
Agostino Chigi si costruisce una villa su Via della Lungara, ha il suo banco e i suoi fondaci nel Forum Nummolarium e su Via Giulia è presente in due confraternite: quella dei Senesi e quella degli orefici.
Giulio II , per dimostrare ulteriormente che intendeva governare la Chiesa non più attraverso i signori locali, ma attraverso legati papali da lui liberamente scelti, colpì la nobiltà romana in uno degli onori che era tradizionalmente loro riservato e diventato quasi un diritto: il cardinalato. Infatti il Papa non elesse alla porpora nessun membro di famiglie baronali romane. Inoltre indebolì le loro rendite abolendo alcuni privilegi come la guardia di palazzo che per tradizione era formata da rappresentanti della nobiltà romana.
Giulio II iniziò un grandioso progetto che doveva creare i collegamenti tra San Pietro, Trastevere, la zona dei Banchi, cioè tra i tre centri cittadini: religioso, portuale ed economico.
All’inizio del Cinquecento la situazione edilizia romana si presentava in questa maniera: tutti gli edifici pubblici di maggior rilievo si trovavano nelle immediate vicinanze del Vaticano poco oltre il Tevere: Palazzo della Camera Apostolica (attuale Palazzo della Cancelleria, terminato sotto Giulio II), la Zecca, sulla via di fronte a Ponte Sant’Angelo, Palazzo della Cancelleria Vecchia ( attualmente Palazzo Sforza Cesarini).
Per questo motivo volle aprire Via Giulia che doveva diventare l’asse viario della Roma degli affari e il Palazzo dei Tribunali (non finito), che doveva riunire tutte le corti giudiziarie sparse in varie aree della città, e tutti i notai doveva assurgere quasi a Campidoglio papale.
C’è da dire che mentre l’aristocrazia romana costruiva le proprie residenze in Via Monserrato, voltando quasi le spalle a Via Giulia, “ l’area dei fiorentini” si connota come la “ City”, e su Strada Giulia artisti ansiosi di riconoscimenti sociali, ricchi artigiani, alta borghesia costruiscono le loro case e le loro botteghe.
Fra San Biagio e S. Giovanni dei Fiorentini si incentrano quindi interessi speculativi ma anche iniziative per fare di questa strada una “ zona di artisti” e di alto artigianato.
Nei pressi del sito occupato poi da Palazzo Sacchetti compera un lotto di terreno Giuliano Leno, allievo e aiuto prima del Bramante e poi di Antonio da Sangallo; Raffaello compera due terreni all’angolo di Via dei Cimatori; Antonio da Sangallo costruisce un palazzetto per sé, passato poi ai Medici, in Vicolo Sugarelli hanno la loro bottega l’orafo Paradosso, Benvenuto Cellini e il profumiere Sugarello.
Strada Giulia doveva essere la nuova arteria asse portante della Roma degli affari. Doveva diventare il simbolo di un nuovo assetto della città .
Giulio II affidò a Bramante l’incarico di costruire su Strada Giulia un gigantesco palazzo in cui riunire tutti gli uffici giudiziari di Roma “per la comodità dei negoziatori” (Vasari :Vita di Bramante).
Il progetto di Papa Giulio II è efficacemente riassunto in una lapide posta sulla facciata di Palazzo Sterbini in Via Banchi Nuovi. L’epigrafe, scritta in latino, celebra Giulio II che dopo aver liberato l’Italia ed aver ampliato i domini di Santa Romana Chiesa abbellisce la città di Roma.
Quindi Strada Giulia –Via Lata -si affiancava a Via della Lungara- via Recta. La prima, inserita nel cuore economico della città, doveva essere una strada di rappresentanza, di pubbliche relazioni, di commerci, del foro giudiziario, dei “Banchi” e dei mercati. La seconda, sorta su un’antica via romana, collegava la zona dei Borghi con Trastevere, come strada extraurbana destinata agli “Otia” contrapposta all’altra dedicata ai “Negotia”.
Il progetto del grandioso Palazzo dei Tribunali, affidato a Donato Bramante, fu cominciato nel 1508. Doveva sorgere accanto alla Chiesa di San Biagio della Pagnotta, ma nel 1511 i lavori furono interrotti. Di esso rimane una serie di blocchi di Travertino ai bordi di una strada in fieri.
La morte di Giulio II nel 1513 segnò la fine del suo progetto urbanistico che perse la sua funzione ideologica.
Il nuovo pontefice, Leone X (Giovanni de’ Medici), pensò di potenziare la zona abitata dalla florida colonia fiorentina e toscana, istallata proprio all’inizio della Via Giulia, in Piazza dell’Oro.
Qui sorgerà la Chiesa di San Giovanni dei Fiorentini, e lentamente si cominceranno a costruire delle case “di speculazione” e uffici e residenze di alcune delle famiglie aristocratiche toscane: Gaddi, Altoviti, Strozzi, Chigi.
Dal 1551 appaiono Palazzo Sangallo (poi Ricci, Ceoli, Acquaviva d’Aragona e infine Sacchetti nel 1649), le chiese di Santa Lucia, Santa Caterina dello Spirito Santo, San Girolamo della Carità, il Gonfalone.
Raffaello Sanzio vi acquistò due terreni a fini di speculazione, che però pare non potè realizzare perché morì. La sua idea piacque ad Antonio da Sangallo il Giovane che acquistò due terreni . Sul primo costruisce il Palazzo del Console di Firenze (n.79), sul secondo, all’angolo di Vicolo del Cefalo, più grande, la propria abitazione.
Alla morte del Sangallo, nel 1546, fu acquistato dal Cardinale Giovanni Ricci di Montepulciano, che lo farà completare dall’architetto Nanni di Baccio Bigio.
Palazzo Ricci sarà poi venduto al banchiere pisano Tiberio Ceoli. Nel 1605 fu venduto al Cardinale Ottavio Acquaviva d’Aragona e infine nel 1649 divenne proprietà dei marchesi Sacchetti, di origine fiorentina, che ne sono tuttora proprietari.
Nei secoli XVII-XVIII, durante l’Età barocca, continueranno le costruzioni che rispecchieranno le tendenze del secolo.
Sarà completata la Chiesa di San Giovanni dei Fiorentini, si costruiranno le Carceri Nuove, verrà completato e ristrutturato Palazzo Falconieri, si realizzeranno due Chiese, Sant’Anna dei Bresciani, poi demolita nel 1888 per la costruzione dei Lungotevere, e Santa Maria del Suffragio.
Vi lavoreranno Borromini, Bernini, Carlo Maderno, Della Porta, Antonio del Grande e la strada sarà utilizzata come scenario per feste e spettacoli teatrali, giostre e palii, e durante l’estate, chiudendo il foro di scarico della monumentale fontana che faceva da sfondo alla strada dal lato di Ponte Sisto, veniva allagata procurando grande divertimento al popolo e ai nobili che vi passavano in carrozza a gran carriera. Il carattere ludico della strada si prolungherà per tutto il Seicento.
A proposito del fontanone di Ponte Sisto, bisogna dire che fu costruito da Giovanni Vasanzio con Giovanni Fontana nel 1613, per ordine di Paolo V, fu demolito nel 1879 e ricostruito dall’altra parte del ponte.
Nel corso dell’Ottocento fino al 1870, inizia la decadenza di Via Giulia anche se vengono costruiti degli edifici come Le Carceri Minorili, accanto alle Nuove, su progetto di Giuseppe Valadier (1825-1827), restaurato il Collegio degli Armeni e la nuova facciata di Santo Spirito dei Napoletani, per ultimo il Palazzo degli Stabilimenti Spagnoli.
Con la presa di Roma, capitale del Regno d’Italia, la strada subì molte demolizioni che in parte ne mutarono il volto.
Nel 1888 i muraglioni sul fiume, costruiti per eliminare le frequenti e dannose piene, snaturano il rapporto di Via Giulia con il Tevere: i mulini, gli acquimoli (molini ad acqua), i traghetti sparirono, apparvero delle chiatte, una di queste fissata ad una corda munita di carrucola fungeva da traghetto all’incirca dove oggi sorge Ponte Vittorio Emanuele.
L’apertura di Corso Vittorio Emanuele, la demolizione dell’Ospedale dei Fiorentini, lo sventramento di fronte a Ponte Mazzini tra Le Carceri Nuove e Santo Spirito dei Napoletani, ideato per mettere in comunicazione la zona con Via Ripetta, passando attraverso Piazza della Chiesa Nuova (progetto poi non realizzato), creerà una zona vuota e snaturerà ulteriormente Via Giulia, quasi isolandola dal resto della città.
TRA LE CASE DELLA GENTE
AL N. 2 una casa del Quattrocento fa angolo con Via del Consolato: un giglio di Firenze in una cornice rettangolare, visibile sia sul lato sulla Piazzetta sia sul lato di Via del Consolato, conferma la proprietà dell’Arciconfraternita dei Fiorentini. All’origine l’ingresso doveva essere su Via del Consolato (così detta perché vi si trovava la sede del Consolato di Firenze) ai nn.18 e20.
Al N. 3 di Piazza dell’Oro è l’ingresso al cortiletto ( in cui è collocato un sarcofago strigilato con ai lati il motivo del leone che divora il daino e al centro un delfino dentro una mandorla) che precede la casa abitata tra il 1570 e il 1590 da Monsignor Guglielmo Sangalletti, cameriere segreto di Papa Pio V e maggiordomo del Cardinal Ferdinando de’ Medici, futuro Granduca di Toscana.
Attaccata a questa, ma su Via Giulia, al N. 82, all’angolo con Via dei Cimatori ( nome che deriva da una delle operazioni relative al trattamento della lana che consisteva nel tagliare o cimare, con le forbici il pelo sulla superficie del tessuto di lana), vediamo una bella casa di fine Quattrocento tra le più interessanti, dal punto di vista architettonico.
L’edificio fu ceduto da Giulio II all’Arciconfraternita dei Fiorentini come compenso per le case e i terreni espropriati per la costruzione di Strada Giulia. Conserva ancora l’aspetto originario: tre belle finestre arcuate ( centinate) con cornici in travertino, l’elegante balconcino sorretto da mensole, sopra il semplice ma raffinato portale a bugne rustiche, semplici marcapiano in travertino.
La facciata in finti mattoni era stata dipinta all’origine dal Gasparino: ne rimangono poche tracce nei fregi sotto i marcapiani del secondo e del terzo piano.
Alla fine del Cinquecento, forse per problemi statici fu rafforzata con uno sperone a bugne.
A partire dal 1520 tutte le facciate degli edifici dei Vip dì Via Giulia furono dipinte secondo la moda del tempo.
Vi lavorarono Polidoro da Caravaggio, Maturino, Gasparino delle Grottesche. Questa moda durò quasi tutto il secolo, quando fu sostituita da quella degli stucchi di cui pare che fosse uno specialista Gasparino delle Grottesche.
N. 80-81- Collegio Bandinelli (1617) -Via Giulia, angolo Largo dei Fiorentini.
Il Collegio Bandinelli fu istituito nel 1617 dal fornaio fiorentino Bartolomeo Bandinelli che lasciò tutti i suoi averi all’Arciconfraternita della Misericordia per la fondazione di un collegio per l’istruzione dei figli dei confratelli. La costruzione fu iniziata nel 1665 su progetto di Antonio del Grande.
Dopo la soppressione dell’istituzione (1870), l’Arciconfraternita di San Giovanni Decollato prosegue ancor oggi la volontà del Bandinelli assegnando borse di studio ai figli di fiorentini che risiedono a Roma.
Palazzo Bandinelli nel 1880 fu assegnato alle piccole Suore dei poveri che ne fecero un ospizio per poveri bisognosi, ma dopo quattro anni, divenuto insufficiente per il gran numero di ricoverati, le suore si trasferirono in Piazza San Pietro in Vincoli.
Il palazzo ha quattro piani e due portoni di cui uno finto, affiancato da ingressi di botteghe. Nei tre piani superiori ci sono sette finestre, di cui quattro sono vere e tre “ a tromp l’oeil”. Al centro della facciata una targa ovale ricorda l’appartenenza del collegio all’Arciconfraternita.
N. 85 Raffaello Sanzio, il primo a stabilirsi su Strada Giulia, nel 1520, poco prima di morire, acquista dal Capitolo di San Pietro un terreno all’angolo di Via Giulia con Via dei Cimatori per costruirvi due palazzi, uno per sua abitazione e bottega d’artista, e l’altro per appartamenti da affittare. Raffaello pensava che trasferendosi in Via Giulia avrebbe potuto avere utili contatti con i personaggi, probabili committenti, che gravitavano in quella zona. Ma la sua morte sopravvenuta nel 1520 bloccò il suo progetto manageriale.
Il Palazzetto presenta sulle architravi delle finestre del primo piano l’iscrizione “ Possedeva Raffaello Sanzio nel 1520”, qui posta nell’Ottocento in occasione di un restauro e dell’aggiunta di un piano all’edificio.
Alla morte dell’Urbinate gli eredi vendettero il terreno a Clemente VII che incaricò Giuliano da Sangallo di progettare un edificio per appartamenti da affittare.
La facciata interamente rivestita di bugne presenta un portone sormontato da un balcone retto da mensole con ai lati due archi per botteghe.
Sul cornicione sono scolpiti motivi araldici (tre monti alternati a fasci di spighe) riferibili forse a qualche famiglia che ne fu proprietaria.
N. 79. Il primo edificio veramente importante: il Palazzo Sangallo detto anche Medici (Cresci), e Marini-Clarelli costruito su un terreno che il Sangallo comprò intorno al 1530 per fini essenzialmente speculativi. La costruzione fu iniziata nel 1535.
Dopo la morte del padre, il figlio Orazio lo vendette a Migliore Cresci, marito di Cornelia Strozzi, che fece ricoprire l’intera facciata di graffiti con scene militari, i ritratti di Giovanni e di Giuliano dei Medici e lo stemma di Clemente VII una sorta di celebrazione pittorica della famiglia dei Medici.
Una targa posta sopra il portone a bugnato rustico celebra Cosimo II “ Cosmo Medici/ Duci FlorenII/ Pacis Atque/ Justitiae cultori” ( A Cosimo de’ Medici secondo duca di Firenze, cultore di pace e di giustizia).
Inoltre per indicare al popolo che ne era il proprietario, Migliore Cresci fece incidere sulle finestre della facciata al piano nobile,“Melior de Crescis ci(vis) Florentinus”.
In seguito il palazzo passò al Consolato di Toscana, poi ai conti Marini Clarelli. Attualmente è del Comune di Roma.
La facciata a tre piani più mezzanino conserva ancora un aspetto cinquecentesco, anche se gli affreschi medicei sono spariti. Interessante il cortile preceduto da un portico sorretto da una coppia di colonne doriche collocate a serliana. Il cortile termina con un fondale ad esedra originariamente aperto verso il Tevere.
N.93 Un elegante palazzetto (Casa degli Stemmi Farnesiani) costruito nel corso del Seicento di cui si sa molto poco. Appartenne forse al bresciano Durante Duranti, amante di Costanza Farnese, secondo altri a Guglielmo della Porta che ne fu il progettista.
Tre dei quattro piani della facciata sono decorati da stucchi e da bei rilievi. Al centro del piano nobile campeggia lo stemma di papa Paolo III Farnese
( 1543-1549) fiancheggiato da due liocorni, collegati da eleganti nastri a due stemmi sottostanti situati tra le due finestre: a sinistra quello di Alessandro Farnese, a destra quello di Ottavio Farnese. La celebrazione dei Farnese termina con un busto ( o il dio Mercurio o un personaggio della famiglia Farnese) posto dentro una nicchia circolare collocato sopra la finestra centrale del piano superiore.
N. 97- 98. Proprio accanto, all’angolo con Vicolo Sugarelli che prende nome da un profumiere Sugarello, che vi possedeva la bottega intorno alla metà del Cinquecento, vicina a quella del famoso orafo e scultore Benvenuto Cellini, c’è Palazzo Donarelli. Costruito intorno al Quattrocento occupa tutto l’isolato tra Via Giulia, Vicolo Sugarelli e Via dei Banchi Vecchi.
Sappiamo che nel Seicento i proprietari, la famiglia Ricci, affidarono all’architetto Carlo Rainaldi l’ampliamento e la suddivisione in tre case con ingressi diversi. La nuova struttura architettonica è dettagliatamente descritta in una perizia firmata dal Rainaldi e da Camillo Arcucci in data 6 aprile 1663. Successivamente il palazzetto passò ai Donarelli.
La facciata a due piani, ha due portoni di cui uno sollevato dal piano stradale, fiancheggiato da colonne doriche. Dal n. 97 si accede al cortile interno. Interessante è lo scalone ellittico nel quale si aprono alcune nicchie decorate con stucchi.
N. 66 Di fronte, si trova Palazzo Sacchetti che sorge sull’area acquistata nel 1542 da Antonio da Sangallo il Giovane con l’intenzioni di costruirvi una dimora per sé e per la sua famiglia. Il Palazzo, molto più piccolo dell’attuale aveva due piani ed un attico con cinque finestre per piano. Al centro della facciata pose una targa, ancora visibile con la scritta “ Domus Antonii Sangalli Architecti MDXLIII”. Morto Antonio nel 1546, il figlio Orazio vendette l’edificio incompiuto al cardinale Giovanni Ricci di Montepulciano per la ragguardevole somma di 3145 scudi. Il Cardinale ne affidò l’ampliamento all’architetto Nanni di Baccio Bigio. Nel 1576 il Palazzo ormai compiuto, fu venduto al banchiere pisano Tiberio Ceoli che vi fece alcune modifiche, specialmente sulla facciata dalla parte del Tevere.
Nel 1605 il Palazzo fu venduto al cardinale Ottavio Acquaviva d’Aragona ed infine nel 1649 ai Marchesi Sacchetti che vi risiedono ancora oggi.
La facciata principale, su Via Giulia, presenta un portale in marmo sormontato da un balcone con sottili balaustrini in bronzo: ai lati, sei finestre sangallesche protette da pesanti inferriate, tutte architravate e appoggiate ad eleganti mensole. Sul lato sinistro del balconcino c’è l’iscrizione che ricorda al popolo la proprietà di Antonio da Sangallo. Di fianco al portone una fontanella voluta dai Ceoli, di cui rimane il segno araldico delle stelle a otto punte sulle cariatidi che fiancheggiano una nicchia, in cui si vede un amorino seduto su due delfini dalle code intrecciate. Al primo piano sopra la terza finestra vediamo la lapide che conteneva lo stemma dei Farnese come omaggio al Papa Paolo III. Lo stemma fu scalpellato dai Francesi nel 1799 che avevano scambiato i gigli dei Farnese con i gigli della Casa reale francese.
Nella facciata che dà su Vicolo del Cefalo, al piano terreno si vedono ancora degli archi murati che indicano la presenza originaria di 7 botteghe.
Il cortile interno presenta un austero porticato con lesene doriche. Al centro della parete in corrispondenza delle cappella aggiunta dal cardinale Acquaviva, lo stemma dei Sacchetti e sotto il cornicione il fregio dorico con metope adorne di armi e stemmi Ceoli.
Pregevole il giardino retrostante che affaccia sul Lungotevere, con bella loggia-ninfeo, sormontata da una grande testa femminile di marmo con diadema tra i capelli.
L’interno non visitabile se non per gentile concessione dei Marchesi, contiene notevoli tesori d’arte tra cui “ il salone d’udienza del cardinale” detto anche “salone del mappamondo”, affrescato da Domenico Salviati detto Cecchino con le storie di David e la Galleria affrescata da Giacomo Rocca.
Nell’area compresa tra Vicolo del Cefalo e Via del Gonfalone sarebbe dovuto sorgere, il Palazzo dei Tribunali che, secondo i programmi di Giulio II, avrebbe dovuto ospitare in un unico edificio tutti gli uffici giudiziari sparsi nella città. Bramante iniziò la costruzione, ma i lavori furono sospesi per la morte di Papa Giulio. Dopo altri tentativi da parte di Paolo III e di Pio VI, di riprendere i lavori, il progetto fu abbandonato del tutto. Di quel palazzo rimangono “ i sofà di Via Giulia”, dei giganteschi blocchi di bugnato in travertino che formavano il basamento della costruzione.
CHIESA DI SAN BIAGIO DEGLI ARMENI o della PAGNOTTA. Edificata forse sulle rovine di un tempio a Nettuno, vi si conserva la preziosa reliquia della gola di San Biagio, vescovo di Sebaste: il santo infatti è noto come guaritore delle malattie della gola.
Pagnotta è un soprannome popolare derivato dal fatto che il 3 febbraio, giorno della festa del santo, venivano distribuiti ai fedeli dei piccoli pani che dovevano essere conservati per un anno e sbocconcellati soltanto quando si aveva mal di gola.
La chiesa attuale è del 1730 e fu costruita su una molto più antica. Un documento del 1072 cita il restauro di questa chiesa eseguito dal papa Alessandro II. Una lapide all’interno del 1072 descrive un catalogo di reliquie.
Nell’interno viene venerata l’immagine della Madonna delle Grazie, incoronata nel 1671.
Adiacente alla chiesa, sull’area in cui sarebbe dovuto sorgere il Palazzo dei Tribunali, è l’edificio dell’Ospizio di San Biagio degli Armeni, oggi trasformato in albergo. Sulla facciata si trova una bella edicola sacra del Settecento di legno dipinto a finto marmo a forma di tempietto con un dipinto di epoca indefinita rappresentate la Madonna col Bambino.
Oltrepassata Via dei Bresciani, troviamo il complesso di Santa Maria del Suffragio, appartenente all’Arciconfraternita del Suffragio approvata da Paolo V nel 1616, che aveva lo scopo di elevare suffragi alle anime del Purgatorio.
La facciata di Carlo Rainaldi è interamente in travertino, ha un portale che presenta ai lati delle teste di cherubino come capitelli delle due lesene che lo ornano. Attiguo alla chiesa è un Oratorio, sempre del Rainaldi; vi si conserva una pregevole Madonna col Bambino con San Giuseppe e San Domenico di Giuseppe Ghezzi.
L’Oratorio fa angolo con Via dei Bresciani in fondo alla quale fino al 1888 esisteva la Chiesa dei S.S. Faustino e Giovita ( anche di S. Anna ai Bresciani), di Carlo Fontana ( fine Seicento). Rimane ancora il complesso, sede della Compagnia dei Bresciani, fondata nel 1569.
LE CHIESE DI ROMA MARIANO ARMELLINI, 1891
S. GIOVANNI DE’ FIORENTINI
L’ Università della nazione fiorentina e compagnia della Pietà di Roma ottenne licenza da Leone X di fabbricare una chiesa parrocchiale so l’ invocazione di s. Giovanni Battista con il fonte battesimale, come per bolla 29 gennaio 1519. In vigore di tale concessione, fu incominciata la fabbrica di questa p353 chiesa sulla riva del Tevere a capo di strada Paolina, chiesa che era lunga palmi 185, larga palmi 85 ed alta palmi 143 con 13 cappelle. La compagnia della Pietà, composta di buoni fiorentini, di cui qui si parla, ebbe origine in Roma nel 1448 in occasione di pestilenza, affine di seppellire i corpi degli appestati che rimanevano insepolti per le strade. Cessato il morbo, questa compagnia si costituì definitivamente, cambiando il primitivo saco nero in altro di colore azzurro.
La parrocchia nel secolo XVII comprendeva in tutto case e famiglie 221. Fu scelto quel luogo perchè era nel secolo XVI la contrada in cui dimoravano i Fiorentini, e vi tenevano i loro banchi e dove risiedeva il Consolato, specie di tribunale presso i connazionali da cui prese il nome la via del Consolato. Autore del disegno della chiesa, fu Iacopo Tatti, detto il Sansovino, che presso la riva del fiume fece accumulare una enorme quantità di sabbia, onde poter ampliare l’ area della chiesa stessa. Il lavoro fu compito assai tardi, cioè sotto Clemente XII, che fece terminare la facciata con i disegni del Galilei. Clemente XII assegnò a vantaggio della fabbrica i beni confiscati al Benozzi. Ivi sorgeva un’ antica chiesuola dedicata a s. Pantaleo, che fu demolita per la nuova fabbrica.
Il Buonarroti avea preparato i disegni della chiesa, di cui si conservò il modello nel vicino oratorio fino al 1720; il progetto michealangiolesco non venne eseguito perchè troppo costoso. Nell’ altare della crociera v’ è un quadro di Salvatore Rosa rappresentante i due santi Cosma e Damiano; l’ altar maggiore è architettura di Pietro da Cortona, ma proseguito da Ciro Ferri. Il Lanfranchi dipinse la volta. In questa chiesa è sepolto Carlo Maderno, nipote di Domenico Fontana, che architettò la facciata della basilica vaticana.
Sulla porta della sacrestia entro una nicchia, opera del Sansovino è stata posta recentemente una insigne statuetta marmorea del Battista, attribuita al famoso Donatello, e che era rimasta fino ai giorni nostri dimenticata e negletta nei sotterranei della vicina chiesuola, ora demolita, di s. Orsola della Pietà.
Appresso alla chiesa, santificata dalla dimora e dal ministero di s. Filippo Neri, che ne fu rettore, nella casa annessa rimangono ancora intatti la cucina ed il refettorio che appartenevano al sodalizio dei compagni del grande santo fiorentino. Sull’ architrave della capa vi si legge l’ epigrafe scritta già col carbone ed oggi sostituita da altra in color nero dal famoso cardinale Cesare Baronio che il santo impegnava in quell’ umile esercizio: CAESAR BARONIVS COQVVS PERPETVVS. Nel refettorio restano ancora al posto le tavole e le mense ove sedevano quei primi grandi discepoli p354 di Filippo, costruiti quali egli riformò i corrotti costumi dei suoi contemporanei. In questo medesimo refettorio è stato trasportato il pulpito che era nella chiesa, dal quale parlava il Neri delle cose di Dio colla sua potente famigliarità ai suoi uditori.